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Il mysterium trinitatis nel pensiero tedesco contemporaneo

Filosofia cristiana come filosofia trinitaria

La chiesa cattolica ha sempre definito la trinità divina come “verum et proprie dictum mysterium” (DH 3041; vgl. 2854; 2856; 3015). Ma c’è un equivalente tradizione di pensiero cristiano che si preoccupa di “fare capire la trinità divina alla ragione umana, non per raggiungere o annullare il mistero divino mediante concetti adeguati, ma ciononostante allo scopo di esibire speculativamente la sua intrinseca necessità”[1]. Proprio questo è il luogo della “filosofia cristiana”: non di “dimostrare” o “dedurre” il messaggio cristiano al pensiero contemporaneo, ma quello di renderlo plausibile. Nella mia relazione voglio presentare due pensatori tedeschi contemporanei, che affrontano quest’indagine, partendo dalla constatazione che l’essere umano odierno si compie e si definisce soprattutto in strutture relazionali. Soprattutto nei concetti di “Amore” e di “Comunio” il cristianesimo trova due parole chiavi, che in quest’ambito si prefigge l’obiettivo di rinnovare e rendere fecondi.

Jörg Splett, Professore presso l’università gesuita di Francoforte “St. Georgen”, parte dal fatto indiscusso che il cristianesimo ha rivoluzionato il significato della “persona umana”. Annunciando che solo attraverso Gesù Cristo l’uomo capisce tutto il fondo della sua realtà personale, il cristianesimo è in grado di riflettere la conditio humana in piena coscienza prescindendo dalla rivelazione. Dal proprio essere personale dell’uomo si può poi andare avanti verso la personalità, fino alla trinità del suo creatore[2].
Splett problematizza le relazioni biunivoche “Io-Tu” della vita quotidiana. Cercando nel contingente l’infinità della soddisfazione, l’uomo fallisce. Questo sforzo si può paragonare in due modi all’immagine di una sfera: (1) in prospettiva egologico-monologico: l’uomo può cercare la piena soddisfazione nell’infinità “orizzontale”: può camminare verso tutte le direzioni e in tutti i modi, simboleggiato da una sfera di diametro infinito. Ma questa “infinità” non può dare all’uomo il suo pieno compimento, è una “pessima” oppure “impropria” infinità, come dice Hegel (“schlechte Unendlichkeit”)[3]. (2) una “spaccatura” di questa concezione mostra l’interpersonalità, che viene simboleggiata nelle due “metà” della sfera spaccata: gli uomini desiderano la ricomposizione con la metà con cui erano originariamente accoppiati, laddove cercano la felicità e l’essere senza dolore. Questi desideri si trovano spesso nella natura, e questo è anche un concetto del mito. Ma questi concetti rivelano un dilemma: o le due metà sono infelici, perché separate; oppure sono sì unite, ma poi conseguentemente annichilite e annullate[4].
Dunque tutti questi sforzi desiderosi di unità intramondana delle due metà sono, dice Splett, del tutto sbagliate. Dopo questa pars destruens Splett invece indica la sua concezione introducendo una fenomenologia dell’amore[5], che prende principalmente da Riccardo di San Vittore[6]: l’amore interpersonale non si presenta in una struttura “Io-Tu” di carattere dualistico, ma è essenzialmente triadico. Il terzo aspetto Splett lo definisce “con-amore”. Lui lo chiarisce in questo modo: da un lato l’amore interpersonale (Io-Tu) è fornito di distanza; una mera identità non serve: nessun medico aiuta se stesso. Dunque in ogni amore c’è distanza. D’altra parte anche troppa distanza non serve all’amore; l’amore esige identità: alla fin fine noi non amiamo mai abbastanza per aiutarci reciprocamente. Solo il terzo risolve questo dilemma. In che modo? Ci sono due concezioni nei quali il terzo non serve: (1) Ammesso prima che questo “terzo” è solo la “proiezione” degli interessi dei due amanti, lui non può fornire alcuna soluzione, perché sarebbe solo una “deviazione”. (2) Ammesso poi che venga esclusivamente da ogni amante preso per se stesso esclusivamente, sarebbe una “concorrenza”. Invece il terzo è il “con-amore” solo, se questo è amato per se stesso e concordemente da entrambi i due: “Di che si tratta: ognuno insieme con l’altro deve essere buono col terzo, ognuno si lasca dare il suo “tu” da lui e allo stesso tempo lui (come Tu) dall’altro – per venir infine condotto dall’uno all’altro”[7].
Splett giunge così ad una soluzione del problema filosofico fondamentale dell’unità-molteplicità oppure dell’identità-differenza. La concezione splettiana dell’unità-triadicità fonde allo stesso tempo molteplicità e unità della realtà del mondo creato. In ultima tappa, così dice Splett, tutta la problematica dell’unità-molteplicità sarebbe da ricondurre al rapporto fondamentalmente personale-amoroso[8]. Splett sottolinea la forza suggestiva della sua teoria mostrando l’insufficienza di concezioni mitologiche della dualità-unità oppure delle teorie riguardanti il riferimento dialettico della dualità-unità[9]. La concezione trinitaria hegeliana non è infine altro che una “dualità-unità”: non viene costituita una pluralità in unità, ma invece la pluralità (dualità) viene annullata in una identità che si sovrappone a questa dualità stessa. Ma che cosa accadrebbe se la pluralità/dualità venisse sollevata nell’unità? Si avrebbe l’amore che fa sparire l’amore, venendo animata da questa differenza nell’unità[10]. Questo si è presentato nell’esempio delle due metà di una sfera: o c’è infelicità (prima della composizione) o le due metà sono sollevate oppure scomparse (dopo la composizione). Una reale e concreta unità nella differenza, cioè amore, non si lascia fondare da una tale concezione[11].
Riguarda i “vestigia trinitatis” contingenti, Splett è molto cauto di fronte non solo alle diadi incomplete, ma anche alle triadi terrene, chiuse in se stesse; lui è invece soddisfatto delle diadi, le quali rimandano oltre se stesse. Soltanto la triadicità è il “posto della libertà vivente”[12].
Adesso Splett ha trovato la risposta alla domanda fondamentale della convivenza umana: come un ente contingente può essere in grado di attendere una donazione assoluta? Da dove viene la dignità umana? La convivenza umana non si lascia mai fondare da una dualità “io-tu” isolata; l’amore verso il prossimo è giustificabile soltanto dall’amore verso di Dio[13]. Il contrasto monodimensionale di “Io” e “Tu” è destinato a fallire[14].

Splett nel suo approccio per l’esplicazione e per la “traduzione” della Trinità divina rinvia soprattutto agli approcci contemporanei della filosofia del dialogo (Ebner, Buber, Guardini ecc.), nonostante riprenda la specifica prospettiva propria dall’ispirazione di Riccardo di San Vittore. Così proprio la relazionalità della convivenza umana si presenta come evidente esempio di un “vestigium trinitatis“, per vedere insieme questo mistero trinitario colla realtà terreno-umana. Comunque ci sono dei precedenti pensatori che hanno pensato in questa direzione (Agostino, Riccardo, Tommaso, Duns Scoto), ma tuttavia Splett rappresenta con questo approccio un pensare contemporaneo. La prospettiva fondamentale della Scolastica, cioè del primo grande, sistematico pensiero filosofico-teologico, era la sostanza; la relazione è subordinata a quella e viene considerata soltanto in accenno. Questo punto di vista sostanziale rimane la opinio communis fino alla seconda metà del Novecento. Lo svantaggio di questa concezione è che il cristianesimo ha certamente assunto l’ontologia sostanziale del contesto filosofico pagano, ma non è riuscito a modificare questa in modo permanente[15]. Riguardo questo fatto recentemente viene sottolineato che proprio la comprensione cristiana della realtà sta “sotto il segno dell’essere personale compiendosi relazionalmente e comunionalmente in un “gioco” di sacrificio e di ricezione“[16].
Va sottolineato che con questo proposito non è implicata l’esigenza di eliminare l’ontologia; al contrario: “Teologicamente considerata è proprio l’ontologia, cioè la visibilità e l’affermabilità del senso dell’essere, che costituisce la premessa, che può chiarire ciò che Dio da parte sua, dalla sua propria originarietà vuole dire, dare ed essere”[17]. L’ontologia è proprio la base filosofica che consente la comunicazione tra Dio e gli uomini. Ma il punto cruciale sta in questo: “L’ontologia, che matura oggi, è una ontologia radicale, fondamentale”[18]. Ho citato Klaus Hemmerle, ex-professore di teologia fondamentale in Bochum ed ex-vescovo di Aachen, morto in 1994. Un’altro professore che chiede un cambiamento fondamentale all’ontologia, è Gisbert Greshake, ex-professore di Dogmatica a Freiburg: proprio dal punto di vista cristiano non c’è motivo di propagare un’ontologia sostanziale, statica ed esanime. Una tale nuova ontologia non significa una „desostanzializzazione“, ma vuole formare un nuovo concetto di sostanza. L’essere deve esser compreso a tutti i livelli come “evento di autocomunicazione”[19] includendo la relazione come “un modo originario del reale di pari importanza rispetto alla sussistenza” nella costituzione interiore dell’essere: essere significa sempre “essere-in-relazione-a”. Così la pluralità si trova nell’unità, la differenza nell’identità, e questo non solo in relazioni che vengono secondariamente aggiunte agli enti sostanziali-unitari, ma propriamente nell’essere stesso, che è costituito per questa dinamica interiore. L’unità non è l’ultimo e la molteplicità e le relazioni non sono un derivato deficiente (in questo caso invece sarà la “derivazione” un problema incolmabile), ma unità e differenza hanno la stessa origine[20].
Il fatto che strutture triadiche vengano trovate nella realtà non è nuovo (cfr. Agostino, Tommaso, Nicola di Cusa ecc.); nel nostro caso invece è importante pensare che tutta la realtà stessa nella sua profondità abissale, cioè nell’essere, sia interiormente triadica. In questo senso Greshake chiede un’”ontologia trinitaria”[21]. Per l’antropologia c’è la seguente conseguenza: l’uomo non soltanto si compie relazionalmente, ma lui stesso è relazionale – soprattutto in relazione al suo Creatore: soltanto questa relazione fa dell’uomo l’uomo[22]. Ma tuttavia Dio non può essere sperimentato immediatamente in una relazione esclusiva tra uomo e Dio: soltanto nella “comunione” con gli altri uomini s’incontra Dio in un'”immediatezza mediata”[23]: Il mondo del prossimo diventa “luogo della realizzazione e simbolo della relazione con Dio”[24]. Persona e Comunio hanno la stessa origine[25], “l’autonomia […] del soggetto non contraddice la sua relazionalità, ma viene solo da questa creata e resa possibile”[26].

Riassunto: Gli approcci di una “fenomenologia dell’amore” e di una “ontologia trinitaria” corrispondono: la realtà è dal punto di vista cristiano non staticamente chiusa in se stessa, ma sta in una dinamica interiore che la rimanda a Dio. Questa dinamica ha il suo culmine nell’uomo stesso. Unità e diversità, amore e convivenza personale trovano la loro spiegazione ulteriore solo nel mistero cristiano personale[27]. Il cristianesimo dovrebbe sottolineare molto più chiaramente la sua forza che penetra la realtà: un felice “essere uomo” e una convivenza personale-umana possono esser fondati soltanto nella luce del mistero trinitario cristiano. Splett dice: “Il parlare dell’uomo rimane umano solo se si parla di Dio”[28].
Come sentenza ultima voglio citare Bernd Langemeyer che chiude il suo libro “Il personalismo dialogico” così: “Un linguaggio tecnico teologico, costituito soprattutto da categorie personali, sarebbe comprensibile all’uomo contemporaneo nella misura in cui è disposto a porre un limite all’indagine naturalistica e accettare il mistero della persona umana in quanto tale”[29].

Bibliografia

  • Greshake, Gisbert, Der dreieine Gott. Eine trinitarische Theologie, Freiburg-Basel-Wien 21997 (recentemente: 42001) (= Il Dio unitrino, Brescia 2000).

  • Ders., Erlöst in einer unerlösten Welt?, Mainz 1987.

  • Hemmerle, Klaus, Thesen zu einer trinitarischen Ontologie, Einsiedeln 21992.

  • Splett, Jörg, Actualitas trina – personologisch. Über Menschsein als Bild des dreieinigen Gottes, in: Schadel, Erwin (Hg.), Actualitas omnium actuum. Festschrift für Heinrich Beck zum 60. Geburtstag, Frankfurt am Main u.a. 1989.

  • Ders., Freiheits-Erfahrung. Vergegenwärtigungen christlicher Anthropo-theologie, Frankfurt am Main 1986.

  • Ders., Vom trinitarisch Menschlichen, Frankfurt am Main 1990.

Entrambi i pensatori sono anche presenti nell’ambito della lingua italiana:

  • Belletti, Bruno, Esperienza di Fede e Fondazione ragionale nel Pensiero di J. Splett, in: Asprenas (Napoli) 29 (1982) 363-380.

  • Ders., L’antropo-teologia di J. Splett, in: Studia Patavina 30 (1983) 101-115.

  • Greshake, Gisbert, La fede nel Dio trinitario. Una chiave per comprendere, Brescia 1999, 32000.

  • Ders., L’uomo e la Salvezza di Dio, in: Neufeld, K.-H. (Hg.), Problemi e prospettive di Teologia Dogmatica, Brescia 1983, 275-301.


[1] Coreth, Emerich, Trinitätsdenken in neuzeitlicher Philosophie, Salzburg-München 1986, 5.

[2] Vgl. Splett, Actualitas trina 197-208, 198f.

[3] Vgl. Splett, Leben als Mit-sein 45-48.

[4] Ebd. 80f.100f.

[5] Ebd. 59-63.

[6] „Dilectio quidem est, quando unus alteri amorem impendit et solus solum diligit, sed condilectio non est. Quando duo se mutuo diligunt et summi desiderii affectum invicem impendunt, et istius in illum, illius vero in istum affectus discurrit et quasi in diversa tendit, utrobique quidem dilectio est, sed condilectio non est. Condilectio autem iure dicitur, ubi a duobus tertius concorditer diligitur, socialiter amatur et duorum affectus tertii amoris incendio in unum conflatur“; De Trinit III,19.

[7] Splett, Freiheits-Erfahrung 319.

[8] Ders., Actualitas trina 201.

[9] Ders., Leben als Mit-sein 78-82.

[10] Ebd. 82.

[11] „Non c’è un’amore egocentrico“; ebd. 100.

[12] Ders., Freiheits-Erfahrung 15.

[13] Ebd. 307.

[14] Ebd. 308f.

[15] „Il cristianesimo ha accelerato lo sviluppo della filosofia entro e fuori la teologia corregendolo e ispirandolo e si è sempre espresso adeguatamente. I grandi teologi e le grandi scuole teologiche non hanno tradito il cristiano in senso proprio né lo hanno vendito ad un’ontologia non pertinente. […] Ma tuttavia si deve constatare: che il propriamente cristiano non ha influenzato il pre-concetto del senso dell’essere, ossia il principio dell’ontologia in generale. Grandi tentativi di un’appocio originariamente cristiano non sono divenuti fondanti nella ‚scuola‘ e nel pensiero comune e non hanno determinato l‘evoluzione del peniero. Nella simbiosi del cristianesimo coll’ontologia il ciristiano, quasi inosservato, rimase un’ospite nei disegni e sistemi filosofici altrove determinati“; Hemmerle, Thesen 21f.

[16] Greshake, Der dreieine Gott 455.

[17] Hemmerle, Thesen 12; vgl. Fides et Ratio 5.

[18] Hemmerle, Thesen 13.

[19] Greshake, Der dreieine Gott 456; cfr. Kasper: „Lo svolgimento della dottrina trinitaria significa la rottura di una comprensione della realtà, che fu formato dal primato della sostanza e dell’essenza, in direzione ad una comprensione della realtà sotto il primato della persona e della relazione“; Kasper, Walter, Der Gott Jesu Christi, Mainz 31995, 377.

[20] Splett, Freiheits-Erfahrung 346.

[21] Greshake, Der dreieine Gott 456.

[22] Greshake cita Agostino: „Tu ci hai creato guardando a te stesso e il nostro cuore avrà in te la sua tranquillità“ (cfr. Conf. I,1,1); Erlöst in einer unerlösten Welt? 33.

[23] Ebd. 34.

[24] Ebd. 37.

[25] Ebd. 47.

[26] Ders., Der dreieine Gott 460.

[27] In questo senso Greshake critica Coreth, che dice: „Unità prevale sulla diversità“. Invece Greshake: „Unità […] e molteplicità relazionale […] crescono in modo equivalente, non inversamente“; Der dreieine Gott 457.

[28] Splett, Was weiß die Philosophie vom Menschen, in: Rhabanus-Maurus-Akademie (Hg.), Kennen die Wissenschaften den Menschen?, Frankfurt 1980, 27.

[29] Langmeyer, Bernd, Der dialogische Personalismus in der evangelischen und katholischen Theologie der Gegenwart, Paderborn 1963, 271.

Il mysterium trinitatis nel pensiero tedesco contemporaneo

Filosofia cristiana come filosofia trinitaria

La chiesa cattolica ha sempre definito la trinità divina come “verum et proprie dictum mysterium” (DH 3041; vgl. 2854; 2856; 3015). Ma c’è un equivalente tradizione di pensiero cristiano che si preoccupa di “fare capire la trinità divina alla ragione umana, non per raggiungere o annullare il mistero divino mediante concetti adeguati, ma ciononostante allo scopo di esibire speculativamente la sua intrinseca necessità”[1]. Proprio questo è il luogo della “filosofia cristiana”: non di “dimostrare” o “dedurre” il messaggio cristiano al pensiero contemporaneo, ma quello di renderlo plausibile. Nella mia relazione voglio presentare due pensatori tedeschi contemporanei, che affrontano quest’indagine, partendo dalla constatazione che l’essere umano odierno si compie e si definisce soprattutto in strutture relazionali. Soprattutto nei concetti di “Amore” e di “Comunio” il cristianesimo trova due parole chiavi, che in quest’ambito si prefigge l’obiettivo di rinnovare e rendere fecondi.

Jörg Splett, Professore presso l’università gesuita di Francoforte “St. Georgen”, parte dal fatto indiscusso che il cristianesimo ha rivoluzionato il significato della “persona umana”. Annunciando che solo attraverso Gesù Cristo l’uomo capisce tutto il fondo della sua realtà personale, il cristianesimo è in grado di riflettere la conditio humana in piena coscienza prescindendo dalla rivelazione. Dal proprio essere personale dell’uomo si può poi andare avanti verso la personalità, fino alla trinità del suo creatore[2].
Splett problematizza le relazioni biunivoche “Io-Tu” della vita quotidiana. Cercando nel contingente l’infinità della soddisfazione, l’uomo fallisce. Questo sforzo si può paragonare in due modi all’immagine di una sfera: (1) in prospettiva egologico-monologico: l’uomo può cercare la piena soddisfazione nell’infinità “orizzontale”: può camminare verso tutte le direzioni e in tutti i modi, simboleggiato da una sfera di diametro infinito. Ma questa “infinità” non può dare all’uomo il suo pieno compimento, è una “pessima” oppure “impropria” infinità, come dice Hegel (“schlechte Unendlichkeit”)[3]. (2) una “spaccatura” di questa concezione mostra l’interpersonalità, che viene simboleggiata nelle due “metà” della sfera spaccata: gli uomini desiderano la ricomposizione con la metà con cui erano originariamente accoppiati, laddove cercano la felicità e l’essere senza dolore. Questi desideri si trovano spesso nella natura, e questo è anche un concetto del mito. Ma questi concetti rivelano un dilemma: o le due metà sono infelici, perché separate; oppure sono sì unite, ma poi conseguentemente annichilite e annullate[4].
Dunque tutti questi sforzi desiderosi di unità intramondana delle due metà sono, dice Splett, del tutto sbagliate. Dopo questa pars destruens Splett invece indica la sua concezione introducendo una fenomenologia dell’amore[5], che prende principalmente da Riccardo di San Vittore[6]: l’amore interpersonale non si presenta in una struttura “Io-Tu” di carattere dualistico, ma è essenzialmente triadico. Il terzo aspetto Splett lo definisce “con-amore”. Lui lo chiarisce in questo modo: da un lato l’amore interpersonale (Io-Tu) è fornito di distanza; una mera identità non serve: nessun medico aiuta se stesso. Dunque in ogni amore c’è distanza. D’altra parte anche troppa distanza non serve all’amore; l’amore esige identità: alla fin fine noi non amiamo mai abbastanza per aiutarci reciprocamente. Solo il terzo risolve questo dilemma. In che modo? Ci sono due concezioni nei quali il terzo non serve: (1) Ammesso prima che questo “terzo” è solo la “proiezione” degli interessi dei due amanti, lui non può fornire alcuna soluzione, perché sarebbe solo una “deviazione”. (2) Ammesso poi che venga esclusivamente da ogni amante preso per se stesso esclusivamente, sarebbe una “concorrenza”. Invece il terzo è il “con-amore” solo, se questo è amato per se stesso e concordemente da entrambi i due: “Di che si tratta: ognuno insieme con l’altro deve essere buono col terzo, ognuno si lasca dare il suo “tu” da lui e allo stesso tempo lui (come Tu) dall’altro – per venir infine condotto dall’uno all’altro”[7].
Splett giunge così ad una soluzione del problema filosofico fondamentale dell’unità-molteplicità oppure dell’identità-differenza. La concezione splettiana dell’unità-triadicità fonde allo stesso tempo molteplicità e unità della realtà del mondo creato. In ultima tappa, così dice Splett, tutta la problematica dell’unità-molteplicità sarebbe da ricondurre al rapporto fondamentalmente personale-amoroso[8]. Splett sottolinea la forza suggestiva della sua teoria mostrando l’insufficienza di concezioni mitologiche della dualità-unità oppure delle teorie riguardanti il riferimento dialettico della dualità-unità[9]. La concezione trinitaria hegeliana non è infine altro che una “dualità-unità”: non viene costituita una pluralità in unità, ma invece la pluralità (dualità) viene annullata in una identità che si sovrappone a questa dualità stessa. Ma che cosa accadrebbe se la pluralità/dualità venisse sollevata nell’unità? Si avrebbe l’amore che fa sparire l’amore, venendo animata da questa differenza nell’unità[10]. Questo si è presentato nell’esempio delle due metà di una sfera: o c’è infelicità (prima della composizione) o le due metà sono sollevate oppure scomparse (dopo la composizione). Una reale e concreta unità nella differenza, cioè amore, non si lascia fondare da una tale concezione[11].
Riguarda i “vestigia trinitatis” contingenti, Splett è molto cauto di fronte non solo alle diadi incomplete, ma anche alle triadi terrene, chiuse in se stesse; lui è invece soddisfatto delle diadi, le quali rimandano oltre se stesse. Soltanto la triadicità è il “posto della libertà vivente”[12].
Adesso Splett ha trovato la risposta alla domanda fondamentale della convivenza umana: come un ente contingente può essere in grado di attendere una donazione assoluta? Da dove viene la dignità umana? La convivenza umana non si lascia mai fondare da una dualità “io-tu” isolata; l’amore verso il prossimo è giustificabile soltanto dall’amore verso di Dio[13]. Il contrasto monodimensionale di “Io” e “Tu” è destinato a fallire[14].

Splett nel suo approccio per l’esplicazione e per la “traduzione” della Trinità divina rinvia soprattutto agli approcci contemporanei della filosofia del dialogo (Ebner, Buber, Guardini ecc.), nonostante riprenda la specifica prospettiva propria dall’ispirazione di Riccardo di San Vittore. Così proprio la relazionalità della convivenza umana si presenta come evidente esempio di un “vestigium trinitatis“, per vedere insieme questo mistero trinitario colla realtà terreno-umana. Comunque ci sono dei precedenti pensatori che hanno pensato in questa direzione (Agostino, Riccardo, Tommaso, Duns Scoto), ma tuttavia Splett rappresenta con questo approccio un pensare contemporaneo. La prospettiva fondamentale della Scolastica, cioè del primo grande, sistematico pensiero filosofico-teologico, era la sostanza; la relazione è subordinata a quella e viene considerata soltanto in accenno. Questo punto di vista sostanziale rimane la opinio communis fino alla seconda metà del Novecento. Lo svantaggio di questa concezione è che il cristianesimo ha certamente assunto l’ontologia sostanziale del contesto filosofico pagano, ma non è riuscito a modificare questa in modo permanente[15]. Riguardo questo fatto recentemente viene sottolineato che proprio la comprensione cristiana della realtà sta “sotto il segno dell’essere personale compiendosi relazionalmente e comunionalmente in un “gioco” di sacrificio e di ricezione“[16].
Va sottolineato che con questo proposito non è implicata l’esigenza di eliminare l’ontologia; al contrario: “Teologicamente considerata è proprio l’ontologia, cioè la visibilità e l’affermabilità del senso dell’essere, che costituisce la premessa, che può chiarire ciò che Dio da parte sua, dalla sua propria originarietà vuole dire, dare ed essere”[17]. L’ontologia è proprio la base filosofica che consente la comunicazione tra Dio e gli uomini. Ma il punto cruciale sta in questo: “L’ontologia, che matura oggi, è una ontologia radicale, fondamentale”[18]. Ho citato Klaus Hemmerle, ex-professore di teologia fondamentale in Bochum ed ex-vescovo di Aachen, morto in 1994. Un’altro professore che chiede un cambiamento fondamentale all’ontologia, è Gisbert Greshake, ex-professore di Dogmatica a Freiburg: proprio dal punto di vista cristiano non c’è motivo di propagare un’ontologia sostanziale, statica ed esanime. Una tale nuova ontologia non significa una „desostanzializzazione“, ma vuole formare un nuovo concetto di sostanza. L’essere deve esser compreso a tutti i livelli come “evento di autocomunicazione”[19] includendo la relazione come “un modo originario del reale di pari importanza rispetto alla sussistenza” nella costituzione interiore dell’essere: essere significa sempre “essere-in-relazione-a”. Così la pluralità si trova nell’unità, la differenza nell’identità, e questo non solo in relazioni che vengono secondariamente aggiunte agli enti sostanziali-unitari, ma propriamente nell’essere stesso, che è costituito per questa dinamica interiore. L’unità non è l’ultimo e la molteplicità e le relazioni non sono un derivato deficiente (in questo caso invece sarà la “derivazione” un problema incolmabile), ma unità e differenza hanno la stessa origine[20].
Il fatto che strutture triadiche vengano trovate nella realtà non è nuovo (cfr. Agostino, Tommaso, Nicola di Cusa ecc.); nel nostro caso invece è importante pensare che tutta la realtà stessa nella sua profondità abissale, cioè nell’essere, sia interiormente triadica. In questo senso Greshake chiede un’”ontologia trinitaria”[21]. Per l’antropologia c’è la seguente conseguenza: l’uomo non soltanto si compie relazionalmente, ma lui stesso è relazionale – soprattutto in relazione al suo Creatore: soltanto questa relazione fa dell’uomo l’uomo[22]. Ma tuttavia Dio non può essere sperimentato immediatamente in una relazione esclusiva tra uomo e Dio: soltanto nella “comunione” con gli altri uomini s’incontra Dio in un'”immediatezza mediata”[23]: Il mondo del prossimo diventa “luogo della realizzazione e simbolo della relazione con Dio”[24]. Persona e Comunio hanno la stessa origine[25], “l’autonomia […] del soggetto non contraddice la sua relazionalità, ma viene solo da questa creata e resa possibile”[26].

Riassunto: Gli approcci di una “fenomenologia dell’amore” e di una “ontologia trinitaria” corrispondono: la realtà è dal punto di vista cristiano non staticamente chiusa in se stessa, ma sta in una dinamica interiore che la rimanda a Dio. Questa dinamica ha il suo culmine nell’uomo stesso. Unità e diversità, amore e convivenza personale trovano la loro spiegazione ulteriore solo nel mistero cristiano personale[27]. Il cristianesimo dovrebbe sottolineare molto più chiaramente la sua forza che penetra la realtà: un felice “essere uomo” e una convivenza personale-umana possono esser fondati soltanto nella luce del mistero trinitario cristiano. Splett dice: “Il parlare dell’uomo rimane umano solo se si parla di Dio”[28].
Come sentenza ultima voglio citare Bernd Langemeyer che chiude il suo libro “Il personalismo dialogico” così: “Un linguaggio tecnico teologico, costituito soprattutto da categorie personali, sarebbe comprensibile all’uomo contemporaneo nella misura in cui è disposto a porre un limite all’indagine naturalistica e accettare il mistero della persona umana in quanto tale”[29].

Bibliografia

  • Greshake, Gisbert, Der dreieine Gott. Eine trinitarische Theologie, Freiburg-Basel-Wien 21997 (recentemente: 42001) (= Il Dio unitrino, Brescia 2000).

  • Ders., Erlöst in einer unerlösten Welt?, Mainz 1987.

  • Hemmerle, Klaus, Thesen zu einer trinitarischen Ontologie, Einsiedeln 21992.

  • Splett, Jörg, Actualitas trina – personologisch. Über Menschsein als Bild des dreieinigen Gottes, in: Schadel, Erwin (Hg.), Actualitas omnium actuum. Festschrift für Heinrich Beck zum 60. Geburtstag, Frankfurt am Main u.a. 1989.

  • Ders., Freiheits-Erfahrung. Vergegenwärtigungen christlicher Anthropo-theologie, Frankfurt am Main 1986.

  • Ders., Vom trinitarisch Menschlichen, Frankfurt am Main 1990.

Entrambi i pensatori sono anche presenti nell’ambito della lingua italiana:

  • Belletti, Bruno, Esperienza di Fede e Fondazione ragionale nel Pensiero di J. Splett, in: Asprenas (Napoli) 29 (1982) 363-380.

  • Ders., L’antropo-teologia di J. Splett, in: Studia Patavina 30 (1983) 101-115.

  • Greshake, Gisbert, La fede nel Dio trinitario. Una chiave per comprendere, Brescia 1999, 32000.

  • Ders., L’uomo e la Salvezza di Dio, in: Neufeld, K.-H. (Hg.), Problemi e prospettive di Teologia Dogmatica, Brescia 1983, 275-301.


[1] Coreth, Emerich, Trinitätsdenken in neuzeitlicher Philosophie, Salzburg-München 1986, 5.

[2] Vgl. Splett, Actualitas trina 197-208, 198f.

[3] Vgl. Splett, Leben als Mit-sein 45-48.

[4] Ebd. 80f.100f.

[5] Ebd. 59-63.

[6] „Dilectio quidem est, quando unus alteri amorem impendit et solus solum diligit, sed condilectio non est. Quando duo se mutuo diligunt et summi desiderii affectum invicem impendunt, et istius in illum, illius vero in istum affectus discurrit et quasi in diversa tendit, utrobique quidem dilectio est, sed condilectio non est. Condilectio autem iure dicitur, ubi a duobus tertius concorditer diligitur, socialiter amatur et duorum affectus tertii amoris incendio in unum conflatur“; De Trinit III,19.

[7] Splett, Freiheits-Erfahrung 319.

[8] Ders., Actualitas trina 201.

[9] Ders., Leben als Mit-sein 78-82.

[10] Ebd. 82.

[11] „Non c’è un’amore egocentrico“; ebd. 100.

[12] Ders., Freiheits-Erfahrung 15.

[13] Ebd. 307.

[14] Ebd. 308f.

[15] „Il cristianesimo ha accelerato lo sviluppo della filosofia entro e fuori la teologia corregendolo e ispirandolo e si è sempre espresso adeguatamente. I grandi teologi e le grandi scuole teologiche non hanno tradito il cristiano in senso proprio né lo hanno vendito ad un’ontologia non pertinente. […] Ma tuttavia si deve constatare: che il propriamente cristiano non ha influenzato il pre-concetto del senso dell’essere, ossia il principio dell’ontologia in generale. Grandi tentativi di un’appocio originariamente cristiano non sono divenuti fondanti nella ‚scuola‘ e nel pensiero comune e non hanno determinato l‘evoluzione del peniero. Nella simbiosi del cristianesimo coll’ontologia il ciristiano, quasi inosservato, rimase un’ospite nei disegni e sistemi filosofici altrove determinati“; Hemmerle, Thesen 21f.

[16] Greshake, Der dreieine Gott 455.

[17] Hemmerle, Thesen 12; vgl. Fides et Ratio 5.

[18] Hemmerle, Thesen 13.

[19] Greshake, Der dreieine Gott 456; cfr. Kasper: „Lo svolgimento della dottrina trinitaria significa la rottura di una comprensione della realtà, che fu formato dal primato della sostanza e dell’essenza, in direzione ad una comprensione della realtà sotto il primato della persona e della relazione“; Kasper, Walter, Der Gott Jesu Christi, Mainz 31995, 377.

[20] Splett, Freiheits-Erfahrung 346.

[21] Greshake, Der dreieine Gott 456.

[22] Greshake cita Agostino: „Tu ci hai creato guardando a te stesso e il nostro cuore avrà in te la sua tranquillità“ (cfr. Conf. I,1,1); Erlöst in einer unerlösten Welt? 33.

[23] Ebd. 34.

[24] Ebd. 37.

[25] Ebd. 47.

[26] Ders., Der dreieine Gott 460.

[27] In questo senso Greshake critica Coreth, che dice: „Unità prevale sulla diversità“. Invece Greshake: „Unità […] e molteplicità relazionale […] crescono in modo equivalente, non inversamente“; Der dreieine Gott 457.

[28] Splett, Was weiß die Philosophie vom Menschen, in: Rhabanus-Maurus-Akademie (Hg.), Kennen die Wissenschaften den Menschen?, Frankfurt 1980, 27.

[29] Langmeyer, Bernd, Der dialogische Personalismus in der evangelischen und katholischen Theologie der Gegenwart, Paderborn 1963, 271.

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